Alla ricerca di sentieri perduti

Da Cartore traversando per le coste del Vignale fino al filo di cresta della val di Fua, poi dalla parte opposta fino all'affaccio strepitoso sulla val di Teve e in cresta fino allo Iaccio dei Montoni e Murolungo, un mare di fiori, la grande parete verticale, la valle del lago della Duchessa, le Caparnie ed il rientro per la val di Fua.

Ancora angoli del Velino mai battuti, ancora grande montagna, ancora panorami cui è difficile assuefarsi. Un anello indimenticabile.


L’idea nacque da quando Giorgio e Stefano si avventurarono in una quasi invernale salendo verticali da Cartore verso il Murolungo, mi parlarono di affacci stupendi sulla val di Fua e poi dopo un lungo traversare, sulla più maestosa val di Teve, una salita ripida, per tracce che sparivano e ritornavano, con sporadici segnali ad indicare la via di salita, una via da sudare e di grande soddisfazione. Consultando la carta del Velino ed. il Lupo, oltre le classiche vie per le due valli già citate, ho individuato una traccia tratteggiata che sicuramente ha origine dalle carte IGM, si stacca da Cartore, tagliando il versante che sulle carta prende il nome di Vignale, arriva a costeggiare la val di Fua prima di buttarsi, dopo una serie fitta e contorta di stretti tornanti preludio ad una ripida salita, dentro un avvallamento che raggiunge lo Iaccio dei Montoni, nemmeno si riesce a leggere in qualche tratto tanto si confonde con i risalti rocciosi; certo che in Appennino ormai di avventura è rimasto nulla, mi affascinava l’idea di andarmi a guadagnare questa salita, un sentiero c’era ma andava scovato, seguito, unica pecca la prima parte interamente nel bosco, ma volevi mettere come sarebbe stato entusiasmante affacciarsi sulla valle del lago della Duchessa dalla cima del Murolungo salito da questo versante? Quest’escursione mi frullava in testa da un po’ di tempo, tanto che ne parlai coi miei amici ascolani, con Tonino in particolare il quale, evidentemente attratto da uno dei pochi sentieri che non aveva mai percorso, mi chiese di tenerlo aggiornato. Così ho fatto, un WA un paio di giorni prima a confermagli che sarei uscito per quella meta… ti faccio sapere è stata la risposta… e ci siamo ritrovati in sei a Cartore, loro più agguerriti di me che avevo pensato e voluto quest’uscita; così agguerriti che in tre avevano anche la traccia del percorso di quella che per me doveva rappresentare una sorta di avventura e una conquista. Mi sono messo dietro, una volta tanto a traino, guidato e portato ho staccato la testa ed ho pensato solo a godermi la giornata; l’avventura lo dico subito è venuta meno, una sorta di correre dietro alla traccia del GPS, due passi a destra ed uno a sinistra, un po’ sotto e un po’ più in là, i dubbi sulla direzione da prendere su dove andarsi a ficcare non sono mai esistiti, ma a parte questo, che non è il mio stile, nulla è venuto meno ed è stata una escursione entusiasmante anche se faticosa. Dal parcheggio di Cartore abbiamo preso in direzione Sud-Est alle 8 precise della mattina, oltrepassato il borgo ormai riportato a nuova struttura turistica e molto frequentato, dopo poche centinaia di metri ed al primo incrocio della carrareccia ci siamo tenuti su quella a sinistra, abbiamo sfiorato la struttura dedicata al “turismo povero”, una poco più che baracca ad uso abitativo e dopo un recinto adibito a pollaio una flebile ma visibile traccia, visibile soprattutto per Tonino che in queste situazioni non si fa battere da nessuno, ci ha inoltrato nella bassa boscaglia ed abbiamo preso a salire. La traccia ben presto è diventata più marcata, nessun segnale se non sparute pennellate rosse sui tronchi delle Roverelle che fornivano più dubbi che certezze, ha preso a salire verso la costa della montagna e poi ha virato verso Nord per iniziare a traversare in costante, qualche momento ripida, salita, la direzione era quella che avevo studiato sulla carta, i GPS dei miei compagni di viaggio confermavano all’unisono che metro più, metro meno, stavamo seguendo la traccia che qualcuno aveva già percorso. Alla faccia dell’avventura che avevo in testa, ma andava benissimo così!!! In un bosco basso di Roverelle, Carpini, qualche Leccio e qualche Acero, salendo a tratti qualche stretto tornante tendiamo principalmente ad attraversare verso Nord finché la cresta che delimita lo strapiombo del profondo e stretto solco della val di Fua non ci ferma. Fin qui la sicurezza dei GPS è stata superflua, la traccia anche se labile è stata sempre ben leggibile ad un occhio esperto. Arriviamo sullo spigolo della Val di Fua a quota 1300mt circa, sono le 9,30, Cartore è 350 metri sotto, peccato la folta vegetazione non permetta un’ampia visuale; la parete sottostante precipita verso il centro della stretta valle, è molto evidente la morfologia del territorio, la val di Fua più bassa termina dove sembrano non esserci più sbocchi e dove si alza repentinamente il versante ed inizia il più alto vallone del Cieco, il raccordo tra le due conformazioni sembra impossibile tanto è ripido il salto eppure lì nel mezzo della vegetazione scorre il ripido sentiero scavato nella roccia che si inerpica su se stesso e che probabilmente percorreremo al ritorno. L’ho percorsa tante volte questa valle, da quel balcone naturale è come rivivere in 3D ognuna di queste, dare un senso alle tante escursioni al lago della Duchessa, rileggere il territorio, ogni passo salito o sceso dentro quel budello. La traccia riprende traversando dalla parte opposta, verso Sud Est, per un breve tratto, poi inizia a salire repentino superando di slancio un dislivello di quasi 200mt e riprende a traversare verso Est prima in piano e quindi in leggera discesa, così in piano che ci sembra innaturale la direzione tanto che inizia un consulto generale tra le diverse tracce registrate sui GPS. A leggere la carta la direzione è corretta, il sentiero aggirerebbe un versante ripido per infilarsi in un largo vallone boscoso che si va ad inerpicare tra lo Iaccio dei Montoni e il Murolungo; il mio senso di orientamento, legato allo scopo di portarmi dalla parte opposta del versante, sul ciglio della val di Teve mi suggerirebbe di traversare salendo verso Sud, le tracce dei GPS per fortuna convergono tutte per questa direzione, da qualche parte poco lontano dovevamo aver perso il sentiero; torniamo indietro per cercarla ma invano, prendiamo quindi a salire traversando verso Sud, un occhio ai GPS e lentamente convergiamo di nuovo sulla rotta e da li a poco intercettiamo davvero un bel sentiero anche se poco marcato (in questo caso i GPS ci hanno probabilmente risparmiato inutili e faticose deviazioni a zonzo per il versante). Sono comunque certo che da queste parti siano davvero pochi quelli che ci si avventurano. Ripresa una salita meno audace ed un traverso più rettilineo tagliamo quel che resta del versante che salendo si è nel frattempo ristretto; intorno quota 1600 usciamo dal bosco con vista su Magliano dei Marsi, ancora pochi metri di salita a superare uno sperone roccioso e ci ritroviamo esattamente sul ciglio della cresta che delimita la val di Teve. Sono le 10,40 poco più di un’ora per traversare dal filo di cresta della val di Fua a quello della val di Teve, 300 i mt di dislivello. Entusiasmante lo spiraglio che ci si apre davanti, la profonda V della val di Teve si insinua tra la precisa, ripida e scolpita parete del monte Rozza e la ruvida ma altrettanto ripida parete dello Iaccio dei Montoni che nel frattempo palesa la sua vetta circa quattrocento metri sopra. Enorme la spaccatura di questa valle, imperioso l’impatto visivo, la vastità, la sinuosità che si guadagna spazio tra le montagne, come entusiasmante è la linea di cresta del Rozza sul versante opposto, sul filo scorre il sentiero che sale alla vetta, a pochi passi da un versante tagliato con l’accetta che precipita repentino in un’unica soluzione fini al fondo della valle, un desiderio che prenderà posto nella mia testa in un anfratto del pozzo infinito dei desideri. Il tempo (poco) di riprendere fiato e di qualche foto di questo meraviglioso scenario che la truppa riparte spedita, stavolta in cresta, un’ampia e rocciosa cresta composta da diversi salti di dislivello, il bosco rimarrà confinato nel versante che abbiamo percorso e che stiamo abbandonando; una parte della truppa a dire il vero riparte spedita, perché io e Marina rallentiamo l’andatura, non c’è niente da fare, i nostri amici hanno un passo diverso, la montagna esige allenamento, costanza frequenti uscite e noi quest’anno abbiamo potuto dare meno. Rinunciamo a stare al loro passo, lentamente li lasciamo allontanare e ci riprendiamo il tempo ed il passo più consono a noi. Usciti dal bosco sulle e tra le rocce di cresta è un tripudio di fioriture, sono una mia passione e frequenti diventano le soste per fotografarli; queste soste insieme ad un’andatura più lenta ci fa riprendere fiato, i nostri amici sono sempre più alti e più lontani ma troveremo il modo per riunirci. Fino alla vetta dello Iaccio si sale per un crestone ampio e roccioso, alcuni tratti lenti a salire ed altri formati da salti più ripidi che fanno guadagnare quota, gli sforzi si distribuiscono; a passo lento, tra una foto e l’altra, tra un mare di colori, continuamente distratti dal volo planante di due grifoni che sfruttando le correnti ascensionali sono sbucati dalla valle e stanno guadagnando quota ci siamo trovati in vetta quasi senza accorgercene. Le cime hanno sempre quel potere rigenerante e riescono a far sparire ogni fatica; lo Iaccio è un nuovo 2000 per Marina, lo aggiungiamo alla sua classifica che da troppo tempo è ferma, è un duemila secondario, anticima praticamente del Murolungo ma con una posizione da invidia affacciato come è sulla val di Teve. I nostri amici nel frattempo hanno raggiunto il Murolungo già da un po’, forse contavano che li raggiungessimo ma quando si sono accorti che stavamo bivaccando sotto l’omino di vetta hanno rialzato le tende direzione Cima di Macchia Triste, vi sembrerà strano ma alla pari dello Iaccio è il secondo duemila da violare della giornata per Tonino e credetemi sapendo che conosce ogni fosso, ogni via di salita dell’Appennino, vederlo alla caccia dei fantomatici 2000 è una bella soddisfazione; alla fine, anche se per gioco ha dovuto mollare alla tentazione di competere. Chi poteva immaginarselo? In quota ci sono 100 mt di differenza tra lo Iaccio ed il Murolungo, nel mezzo una poco pronunciata sella che tocca scendere, tanto basta a far diventare il paginone fino alla vetta, per chi è già stanco, un piccolo K2. Marina però, va a sapere per quale motivo, ha i suoi talismani da cui trae forza, il Murolungo, come il lago della Duchessa e forse il gruppo del Velino tutto, rappresentano le mete privilegiate degli Appennini, da queste parti è capace di sorprendere, ritrova tutte le energie perse o riposte chissà dove e sale senza battere ciglio. L’affaccio sulla valle del lago ripaga di tutto, sono le 12,30 siamo 1260mt sopra Cartore, peccato che il cielo coperto da una anonima coltre grigia di nuvole cariche di umidità tolga colori e profondità. Rimaniamo in vetta per un po’, nel mentre i nostri amici sono nel pianoro erboso sotto la cresta, dove questa si abbassa notevolmente verso Sud, filano in direzione Cimata di Macchia Triste; scendiamo la stessa cresta anche noi fino ad abbassarci ed incrociare uno dei sentieri che ci portano dentro lo stesso pianoro erboso dove erano loro poco prima, nel centro c’è ancora un rimasuglio del piccolo laghetto di scolo. Non ci va di affrontare altre salite, decidiamo di non proseguire verso la Cimata e tagliamo il pianoro in direzione Murolungo, sappiamo esistere una traccia che scende costeggiando la grande parete fino a confluire nella valle principale poco sopra le Caparnie. Vincendo la pigrizia e prima di imboccare la forcella in fondo al pratone verso Nord risalgo il pendio erboso che mi fa avvicinare alla grande parete, stavolta non voglio perdere l’occasione per fare una delle più classiche foto di questo inconfondibile profilo dell’Appennino centrale. E’ così vasta, verticale, alta e lunga che non entra dentro l’inquadratura dell’obiettivo (d’altra parte che Murolungo sarebbe diversamente?), non c’è problema fraziono le immagini e ne comporrò una panoramica; certo al cospetto di una parete del genere si rimane sempre un po’ meravigliati, è davvero un muro, verticale, diritto, ruvido, la grotta dell’oro al suo centro invita una visita ma scendere quei ghiaioni e soprattutto risalirli fino all’imbocco della grotta richiederebbe un sacco di tempo, la sua visita non sarà nemmeno per questa occasione. Dopo la forcella scendiamo il tratto misto roccia e ghiaia, entriamo nei pratoni sottostanti, la parete ci sfila non molto lontana richiamando costantemente la nostra attenzione, superiamo piccoli avvallamenti e flebili selle, attraversiamo mille fioriture diverse, stuoli di Viole, di Ranuncoli, margheritoni gialli, (Doronici per chi ama dargli un nome), dove affiora la roccia trionfano ciuffi di candide Pulsantille o Anemoni alpine, i Nontiscordardime e le miniature delle Androsacee dai toni delicatissimi e dalla gentilezza infinita. Un tripudio di fioriture e colori fino alle Caparnie, fino all’imbocco della vallone del cieco che raggiungiamo con un lungo traverso dopo aver abbandonato la parete del Murolungo. Come ci fossimo dati appuntamento dopo 10 minuti, forse meno, i nostri amici ci raggiungono, il loro passo, nonostante il largo giro è in grado di ridurre tempi e distanze. Manca poco alle 14 quando imbocchiamo il vallone del Cieco, boscoso, fresco e veloce da percorrere con il suo profilo per lo più rettilineo e in costante accentuata discesa, fino alla strettura sotto un grosso roccione sporgente, dove delle catene agevolano un passaggio su una larga ma un po’ esposta cengia rocciosa; poco dopo iniziano le ripide e rocciose svolte, anche un pò esposte in qualche tornante, scavate nella parete e che precipitano nella val di Fua sottostante, mi ritorna in mente l’immagine che vedemmo la mattina, quando dalla cornice lassù in alto non riuscivamo a distinguere la linea di salita ma solo il grande salto tra le due valli contigue. La val di Fua, molto più bassa e incassata, diventa ancora più ombrosa, il sentiero ci scorre sinuoso con stretti tornanti e frequenti cambi di pendenza. Usciamo a valle dopo 1,30 ore dall’imbocco, il tempo di percorrenza è lo stesso per i due tratti 45 minuti circa per il vallone del Cieco e 45 minuti per la val di Fua. Atterriamo a Cartore intorno alle 15,20 del pomeriggio, quasi 18 km e 1500 mt di dislivello per i nostri amici, solo 15 Km e 1300mt per noi. Ormai su queste montagne siamo di casa eppure oggi sono riuscito ad aggiungere un tratto di sentiero ed un versante fino ad oggi a me sconosciuti, una impareggiabile vista sulla val di Teve dallo spigolo di cresta sotto lo Iaccio dei Montoni che da solo vale il biglietto di questa faticosa escursione, poi ci sono state le moltitudini di fioriture incontrate, la coppia di Grifoni che ci ha regalato un bel momento, il fascino del Murolungo, la sua impressionante parete, la sua grotta che rimane ancora nei miei buoni propositi, il lago della Duchessa e la sua valle, anche se stavolta l’abbiamo solo visto da lontano. Marina e Tonino si sono presi in giro nell’aggiungere cime alla loro personale graduatoria del club 2000 ma soprattutto c’è stata una bella giornata con gli amici ascolani. Ancora e sempre una giornata vissuta in montagna ricca di momenti da ricordare. Un’altra cosa mi ha lasciato questa giornata, la convinzione sempre più spinta del rifiuto del GPS, o meglio la convinzione che va usato parzialmente al solo scopo della sicurezza del ritorno; toglie avventura, esclude le carte, toglie capacità di leggerle e di leggere il territorio. Continuerò a registrare la traccia ma solo per garantirmi il ritorno in caso di nebbia o di difficoltà sopraggiunte, e se non riuscirò ad arrivare alla meta, come tante volte mi è capitato, vorrà dire che ritenterò e che ogni volta servirà per conoscere meglio il territorio.